mercoledì 18 giugno 2014

Cenni di orientamento nel casino che è la cultura* (parte I)

*scritto da un tizio qualsiasi di cui non necessariamente fidarsi - quanto a dire un messaggio dall'universo stesso.

Introduzione.

L'idea è semplice: mi sono reso conto, parlando con le persone, a più riprese, nel corso degli anni, che quasi nessuno ha veramente una vaga idea di quanto vasto, complesso e insidioso sia il mondo della cultura umana. Affine alla frana di un infinito su di un altro, esso è forse il principale attentato alla salute mentale del tranquillo ancora biologico homo sapiens - finché, appunto, non si picca di capirci qualcosa sul senso della vita e, invece di chiudere il becco e andare a fare ricerca scientifica su argomenti che non gli interessano, si sforza di acquisire un certo dominio su qualche campo della storia espressiva umana: dalla letteratura alla filosofia, passando per tutto il resto.
Ah, dominio, che brutta parola. Già indica un fattaccio. Il dominio sull'infinito è infatti forse la forma di uno dei problemi caratterizzanti la modernità: confondere l'impossibile con un'esigenza biologica. Le istituzioni lo risolvono "fuorcludendo" (per dirlo in modo brutto e lacaniano) il soggetto: ecco l'università - dove appunto puoi studiare solo ciò che non ti interessa in un modo deciso da altri (sulla base del fatto che non gli interessa). Ma cosa accade se invece tu degli interessi - dei desideri - ce li hai?
In breve, ho deciso di realizzare questa piccola mini-guida, interamente e non scientificamente basata sulla quantità assurda di mie esperienze sottoscritte, a uso e consumo di chi stia pensando che tutto sommato questa cosa della cultura è carina e divertente (lo è, ma solo dopo essere stata atroce e fottuta), o che magari si sia già perso nei suoi meandri e attualmente si sfoghi solo con fantasie di suicidio (ma è meglio se evitate di farlo, persino Artaud persa per persa ha preferito impazzire).

Condizioni necessarie e quasi sufficienti.

In questa prima parte elencherò, senza nessuna pretesa di esaurienza, tre condizioni, più o meno in ordine di importanza cronologico, che a mio avviso regolano l'accesso stesso alla dimensione della cultura vera e propria (cioè cultura come coltivare, all'opposto di colonizzazione da parte di altri). Perché - premessa essenziale - avere in testa delle nozioni non è cultura: se così fosse chiunque passi l'esame di maturità sarebbe automaticamente un illuminista, un avanguardista o un poeta romantico. In effetti, il lavoro della cultura "vera e propria" è semmai proprio quello di masticare e macinare le nozioni - alla luce dell'esperienza, di altre nozioni, del linguaggio, della vita o anche di Gesù Bambino - in modo da spremerne in qualsivoglia spregiudicato modo un senso impiegabile nella vita propria e/o altrui. Senso che cambia, senso che defunge sempre (cosa a cui mi sembra il solito Lacan alludesse con la formula per la quale il Reale "non cessa di non scriversi"), ma che al tempo stesso da bravo carota di fronte all'asino funge da motore della storia nostra e altrui - fino magari a improbabili felicità, o alla peggio a essere capolavori.
Torneremo forse altrove e in altre vite su tutte queste questioni. Qui mi premeva elencare tre condizioni per cominciare anche solo a giocare a questo gioco.

Primo: iniziare lo studio di una qualsivoglia area della cultura non per motivazioni estrinseche o utilitaristiche; se possibile, persino non per motivazioni patologiche. In altre parole, il movente del tuo viaggio dev'essere già una forma in qualche modo depurata di desiderio. A mio modestissimo modo di vedere è impossibile capirci anche solo qualcosina nelle cose della vita (perché di questo con la cultura si tratta) se si inizia a studiarle per avere un cospicuo stipendio o per far felici mamma e papà. La ragione è semplice: gran parte del lavoro che ti attende non è accumulativo o direttamente costruttivo, ma negativo e controintuitivo. Se non sei mosso da un'esigenza autentica, non vorrai nemmeno iniziare e finirai a fare l'insegnante fascista alla scuola superiore.

Secondo: avendo a che fare con un'autorità che svolga la funzione in qualche modo di "maestro" (dal maestro di teatro al professore universitario - ma anche l'autore del libro che inevitabilmente leggerai!), sobbarcarsi il compito di mantenervi una relazione problematica. Questo essenzialmente significa non prendere per oro colato qualsiasi cosa egli dica, ma anzi tenere nella massima considerazione le tue esigenze (ricordate quelle del punto precedente?) e qualsiasi dubbio / obiezione / apostasi esse inspirino rispetto al "Discorso del Maestro". Non però ciò si deve tradurre in una semplice negatività o distruttività di un sospetto fine a sè stesso; non si tratta, cioè, di porre i problemi sul piano di una supposta relazione di potere. Al contrario, i problemi e le questioni devono tutte porsi sullo stesso piano della fonte di autorità del maestro: in pratica, si deve essere capaci al tempo stesso di apprendere da lui e di vagliare criticamente qualsiasi cosa egli dica come se si fosse già, in un certo senso, degli esperti del campo. Avvertenza: essendo questa mia richiesta, in senso assoluto, paradossale, va da sè che in questa fase si faranno inevitabilmente errori di giudizio e di percorso. Ma la cosa non fa problema, perché tanto invariabilmente si passerà a

Terzo: avere la forza e la lucidità di riconoscere che il maestro di turno - anche quello magari prediletto, giudicando a pelle - ha invariabilmente dei limiti. Tipicamente ciò si mostra in una certa rigidità in certi aspetti delle sue vedute, che mal si incastreranno con le proprie personali esigenze (sì, di nuovo il primo punto). Ma potrebbe essere di tutto; ciò che importa è che come conseguenza di questa inevitabile constatazione, si va in cerca di altri maestri che possano illuminare sui punti critici. Ma - e qui sta il busillis - inevitabilmente si dovrà essere capaci di rendersi conto che anche gli altri maestri hanno dei punti deboli. Si dovrà cioè rendersi conto che nessuno possiede La Dottrina (La Verità, Il Senso, ecc.); e si dovrà rendersene conto per davvero, completamente, e proprio su qualcosa che nel frattempo per te è diventato molto importante. La scoperta da fare è che i maestri non sono maestri - per definizione. Questo punto è a mio avviso cruciale, perché è proprio tramite il trovare il modo di superare la crisi che esso apre che si entra nel mondo della cultura vera e propria. Vale a dire: dell'infinito. L'infinito delle opinioni contrapposte, delle vedute incommensurabili, delle storie di storie di storie che si relativizzano a vicenda, del "non c'è una soluzione!". L'infinito, in pratica, della verità (umana (disumana)).

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