domenica 25 maggio 2014

La mente (inverno-primavera 2008-2009)

La poesia filosofica: ciò cui ricorsi, negli anni universitari, come una transizione, per dare un senso progressivo, costruttivo, persino etico a quella periodica ansia espressiva per la quale credevo di dover trovare una giustificazione. Ciò produceva spesso risultati macchinosi, insinceri, falsamente trionfali: la tipica malattia dell'uomo investito dalla "missione spirituale", per la quale non solo bisogna pensare di stare su una via, ma bisogna anche far finta, prima di tutto di fronte a sè stessi, che codesta via ti renda "perfettamente" felice. La poesia filosofica era un tentativo reiterato, un po' ossessivo, di descrivere e accennare a questa via fittizia verso il sublime.


La mente è quella scatola
cava e aperta all'intorno
infinito. Va avanti
senza ritegno e, forse
in sogno, al modo di un ago
traccia un ordito privo
di inizio - o di ritorno.
Sostegno al suo vagare
non v'è, anche se pare:
tutto ciò ch'è digesto
si fa prima presenza,
poi gesto, poi corpo e
poi assenza. Pressappoco
così si tesse il vivo,
un gioco intorno al tempo,
una posta di scie
che saziano a vicenda
la sete. Non c'è sosta.
Come vorrai afferrare
sia l'io che il mondo se
non c'è una locanda ove
fermarli? Pure, io ricordo.
Come lo specchio pare
predire e figliar nuova
copia d'ogni faccenda
che avanti gli appare, anche
chi vaga e sente cova,
cupido - e non indaga.
E' la luna nel secchio.
Certo non è vero astro,
ma più simile a un eco
o opportuna assonanza,
incastro e nuovo e vecchio
onde tu trai l'usanza
de' concetti di "fuori"
e di "dentro", di "falsi"
e di "veri". Anch'io
se mi cerco da solo
quasi rientro e rivivo
un elenco di "ieri",
a cui inver non arrivo.
Allor è come andare
per campi attraverso una
via che ha visto di fiori,
cimiteri e di sterco.
E' la mia, chè ne son
penna, tratto, cornice
e pittore; ma dietro
i colori è il mistero:
il suo strano valore.


Già... come se si fosse già "arrivati", e, da una finestra, al tramonto, si contemplasse il cammino fatto, che è totalmente visibile, e insegna l'ovvio. Ma questa poesia, credo, ha dei meriti: in primis il modo in cui la visibile tendenza a moltiplicare il più possibile, anche a caso, i legami fonetici, a cascata, di verso in verso, per giunta in un parossismo di settenari veramente da ipermetrica, si lega in qualche modo al tema. Si ha infatti davvero la sensazione di una rete di scie, spontanee, casuali, a metà fra il soggettivo e l'oggettivo (non-locali), che l'un l'altra si richiamano in continuazione, senza costrutto, a cascata, come se questa descrizione (significato) di un'immagine filosofica del processo "mente" fosse essa stessa un flusso parte di quel processo, essa stessa il viaggio di cui parla (significante). In questo modo quello che si metterebbe in mostra in questa sorta di filastrocca sarebbe proprio un'ipotesi di costruzione di una logica del senso a partire, come dire, dal puro niente prosodico.
Certo, non è, come sempre nel caso di queste mie proto-poesie, qualcosa di del tutto voluto o consapevole. Ma fa piacere pensare che le proprie ossessioni, anche quando puramente patologiche o frutto di immaturità, tornereranno presto o tardi utili a qualcuno - o a un discorso sul senso della vita.

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