mercoledì 14 maggio 2014

Kulturkampf


Scrivere. Il flusso di coscienza. L'addormentamento della coscienza. A cosa serve scrivere? Perché tengo questo blog, anche se non so nemmeno se e chi lo legga?
Forse scrivere non serve proprio a niente - e ciononostante, una volta iniziato, quell'abitudine che ci porta a continuare a farlo permane. C'è una tensione che da un certo punto in poi ci abita, tensione verso la scrittura perfetta - l'espressione perfetta, l'espressione che dice tutto quello che c'è da dire - che fa sì che l'autorivelarsi del nostro carattere in righe di testo lanciate contro il nulla assuma ogni volta la fisionomia di una lotta d'amore. Finché alla fine ti lasci andare.

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.


Neanche amare serve a niente. E la storia? Ma se buttiamo via l'"utile" stesso - perché in effetti non serve a niente - come dire ancora cosa resta da fare? Allora giustamente si introduce il concetto di "grazia" - la gratuità del bello. Ma, al tempo stesso, così ti trovi di nuovo e sempre nel deserto, dove il niente e il desiderio si contendono le tue giornate, rischiarati a volte da un lampo di tempo sul tempo, con i "campanelli nella testa" - che poi magari ti illudi di scrivere. Ma no, non puoi: la tensione stessa verso lo scrivere è quel campanello, e tu ti fai suonare dal campanello ed è già tutto finito, oltre i confini del ring; del mondo moderno. Ai margini, a smarginare questa s-graziata forma di vita, c'è sempre l'impegno politico, civile, sociale; quanto a dire la speranza che questa copula faccia figli. Ma tu sei ancora single.
Già perché prima ancora, a monte, c'è l'immagine di un lettore, dell'Altro che ritorna ossessivamente in queste scritture corsare, perché sono tutte sofferte per lui. Per ucciderlo, svuotarlo, sadianamente. Trovarlo. Mi chiedo, se tu davvero in questo momento stai leggendo queste righe, sei tu per me quell'Altro? Ovviamente no, se mi parlerai. E non se non mi parlerai rimarrai un fantasma. E' questo il gioco.
Mi pare però a volte che siamo veramente molto soli fra le persone, e che l'Altro sia talmente altrove da sparire del tutto. L'eros non c'ha più voglia, se non ci sono i soldi. Parole come "disintegrazione del tessuto sociale" o "feticismo della merce" vengono scritte, e ci aiutano a dare una misura ai fenomeni. Reificazione dei rapporti come isterismo ben mascherato. Ma la questione è più ampia, forse ancora non chiara nemmeno a sè stessa, da definirsi e solo in seguito magari comprendersi. E scrivere allora può davvero diventare la compenetrazione fra la grazia del suo depensarsi e la battaglia costante per ritagliargli uno spazio sociale, benefico, stimolante - dove sia, una buona volta, ancora, per un po', possibile.

Intanto si chiudono lentamente le porte dell'arsenale, la brezza di un'era va a morire e i riflessi bianchi sulle onde invitano al sonno. Basta poco, vedete? Chè scrivere queste due righe mi ha ripagato d'ogni fatica.

Nessun commento:

Posta un commento