mercoledì 16 aprile 2014

Krisis

Frida Kahlo

Quanto è facile avere paura del giudizio degli altri. A volte mi viene quasi spontaneo pensare - riducendosi a livelli da erista ateniese - che persino l'idea di Dio e del suo timore discendano da questo semplice fatto (e se non erro Levinas indicava qualcosa sulla divinità che è per noi il volto dell'altro).
A volte mi viene da pensare che tutti i nostri problemi derivino da questo.

Fenomenologia: trarre un senso da ciò che ci appare. Come trarre il sangue dalle rape. E' veramente fenomenologo un filosofo che non parli di ciò che vede, che pensa che ciò che vede parli da sè (il "trascendentale")? E d'altro canto non è forse ciò così tanto meno rischioso che trarre il sangue dalle rape?
C'è poco da fare, abbiamo paura del giudizio degli altri.

In questi giorni ho scritto un appuntino su Nietzsche e Hegel e il cristianesimo. E' stata una cosa un po' sofferta. In effetti se ho molto rispetto per Nietzsche è perché ha così poco tenuto conto della paura del giudizio degli altri da arrivare a farsi anche più male di quanto se ne sarebbe fatto rimanendo chiuso in una qualsiasi coscienza infelice. Se poi ho molto rispetto per Hegel è perché è stato così tanto spudoratamente fenomenologo da voler provare a insegnarci che le rape non solo sanguinano, ma sono pure umane.
Io invece non sono sempre coraggioso o scriteriato come loro. Per questa ragione oggi vorrei porre questo problema: la paura degli altri. Non pensate forse che essa possa avere a che fare con fenomeni come la depressione, l'ossessività, il senso di colpa, le reazioni isteriche? In effetti io credo che la paura degli altri sia qualcosa di molto profondo, impiantatosi da qualche parte fra la nostra spontanea propensione all'eros come creatività e desiderio fisico del riconoscimento dell'altro e una profondissima ansia che l'umanità che ci è stata donata dal contatto amoroso con quella medesima alterità ci venga sottratta proprio lì dove vorremmo esibirla trionfanti. E' come la paura che le ali mediante le quali stiamo volando si tramutino in un peso che ci faccia sfracellare al suolo; ma il suolo è invisibile. Dopo tutto, si tratta di una paura peggiore della morte. Non è essa infatti la morte della possibilità di desiderare liberamente? E non è forse il desiderio ciò che permette alla vita di ridere in faccia ad ogni morte?

Nietzsche alle soglie della sua follìa definì il cristianesimo "l'unica grande maledizione". Perdeva forse in quei giorni la battaglia di una vita, ma per lo meno aveva l'ultima parola sul nome da lui dato a quel complesso psico-patologico che dai genitori in avanti lo aveva condannato a vivere il proprio desiderio come lacerante problema. In effetti, forse per lui il cristianesimo era ciò che meglio compendiava "gli altri". Hegel, che a riguardo non ho ancora letto, non a caso forse includeva il cristianesimo nello spirito assoluto, questa sezione per noi così sospetta della Fenomenologia, come "religione assoluta". In questo forse i due sarebbero stati d'accordo. E' questa forse la cifra di tante nostre crisi, dalla paura di scrivere un post al progressivo sfarinamento del corpo sociale: l'assolutezza altrui sopravvive alla fine delle sue giustificazioni.

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